Fra fieno, mucche e montagne

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 PRIMA PARTE

Sono nato nel 69 a Claut, piccolo paesino di montagna del Friuli, vivevo con la nonna Maria e il nonno Mene. Lei aveva il “cucon” con tutti i capelli grigi, pochi denti, mi pare alcuni di ferro, era de “chi de Belon”, di cognome Lorenzi. Brava donna, accudiva da sempre la suocera orba, ovvero mia bisnonna, La Corada,

dalla famiglia di provenienza “chi de Corado” di cognome Corrado e di nome Giacomina. Era sempre vestita di nero, seduta vicino alla stufa a legna, su una panca, era diventata orba circa a 40 anni, non so bene per quale malattia, da sempre accudita da mia nonna. Nel testamento ha detto al notaio che “lasciava tutto a sua nuora Maria perché l’aveva sempre accudita e gli aveva voluto bene”, e così è stato. Mi ricordo che tutte le sere l’accompagnavamo, a dormire nella casa vecchia, nella sua camera e al mattino mia nonna andava a prenderla per tenerla in casa. Di lei mi sono rimasti pochi ricordi, ero piccolo, avrò avuto 5/6 anni, ma la sua presenza è bastata ad insegnarmi qualcosa, non so bene cosa ma so che mi è servito.

“Al nono Mene”, all’epoca era il capo indiscusso della famiglia, de “chi de Susana”, mi sembrava di appartenere alla famiglia più importante del paese, non era proprio così, però sono sicuro che “chi de Susana” lo fossero realmente la famiglia più importante del paese, in tempi remoti, quasi dimenticati. Io comunque vivevo in paradiso, questo era per me la mia famiglia, sebbene mancasse qualche pezzo, dai miei nonni ho imparato molto, ho conosciuto un mondo che i miei coetanei ignoravano, mi ha formato il carattere, mi ha insegnato il rispetto di valori che non bisognerebbe mai dimenticare.

Mio nonno era grande, alto, forte, la barba grigia, nella vita aveva fatto il boscaiolo, il muratore, era un cacciatore, di quelli di altri tempi, di quando la preda era a pari livello del cacciatore, come dice un mio amico Guida. Erano i tempi in cui il cacciatore partiva di notte, bivaccava nel bosco, trovava le tracce, inseguiva i camosci per le valli, li uccideva con la doppietta, tiro utile 50 m. Portava le prede a casa per mangiare, non si trattava di sport, era sostentamento alla famiglia, alla vita.

La vita che grazie ai miei nonni ho conosciuto, era quella dei montanari, dei contadini, degli agricoltori di montagna, della gente povera di soldi ma non di virtù. Vivevo tal “Gurtil de chi de Susana” a Mariae, borgata all’inizio di Claut, la corte era composta dalla casa di mio nonno Mene, la stalla, la casa vecchia, la casa nuova dove vivevamo, acquistata dai nonni, nel corso degli anni firmando cambiali. Si c’era la stalla e dentro avevamo le mucche, io ne ricordo due con il vitello ma prima erano forse tre o quattro. La stalla era ancora parte integrante del sostentamento della famiglia, anche se i tempi stavano cambiando, ho avuto la grande fortuna di assistere e di assaporare giornate di altri tempi, i ritmi erano quelli naturali, delle stagioni, delle lune. In primavera si piantava l’orto e si metteva il campo, le patate e i "fasuoi" erano importanti in quei tempi, poi veniva il momento della fienagione, bisognava portare a casa il “fegn” che sarebbe servito a sfamare le mucche per tutto l’inverno. Il primo taglio era la “cultura”, seguito dal “dorc” e dal “dorgulin”, ma già quest’ultimo stava sparendo, oggi nessuno lo taglia più, ad  essere sincero, oggi nessuno fa’ più un sacco di cose, ma questa è altra storia. Mio nonno era abbastanza motorizzato per quei tempi, aveva la falciatrice, una Motobenassi rossa, esiste ancora, mal trattata ma esiste, c’erano i prati vicini e quelli si tagliavano per primi, poi veniva la volta de “Penei”, poi si andava “drente del stal”. Quella volta, andare in “Penei a fare il fieno, non era cosa da poco, si partiva presto al mattino e si rientrava nel tardo pomeriggio, si avevano appresso viveri per tutto il giorno, l’acqua si prendeva nella fontana della “Carota”, le giornate del fegn erano lunghe, calde ed impegnativa. Di solito mio nonno segava il fieno alla sera prima, al mattino si “slargiava  i antons”, poi si “voltava” ed alla sera si facevano i “cagoi”, l’indomani si “slargiava” e poi si facevano i “fas”, raramente si portava a casa il fieno solo in una giornata.

Però il mio ricordo più bello è quello relativo a “drente del stal de Corado”, mio nonno mi caricava a cavalcioni sulla Motobenassi con le gambe sulla lama, partivamo a piedi e prendavamo la strada della Val Settimana, il viaggio era lungo ed avventuroso anche se conta solo 2/3 km, una volta arrivati cominciava a tagliare il prato, era il più grande che avevamo, l’opera di taglio durava un bel po’, lì ha cominciato ad insegnarmi ad usare la falciatrice, era fantastico. Il giorno dopo andavamo con tutta la famiglia, mio nonno preparava le altalene con le corde usate per fare i “fas”, c’erano le angurie, le mettevamo in fresca nel rio che scorre lì a fianco, era una gran festa e a me piaceva tanto. Si stava fino quasi a sera, poi mestamente si rientrava.

RENZO GRAVA



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