Quan che gion par chile month

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 Parto con il buio, mi piace, è freddo, la natura dorme, tutto tace, è molto presto ma è così che si deve partire, d’ estate e d’ inverno. Le foglie che cantano sotto i piedi sono la tua sola compagnia, foglia di faggio, “la stradura” bella, asciutta, canta una gracchiante ninna nanna che va al ritmo dei tuoi passi.

Quando la risentirò sarà al ritorno, quasi a fondovalle, forse….

Dopo un po’, passi a fianco di qualche rudere, i “tamers”, resti di una storia antica, fatta di bestie al pascolo e di fatiche ma anche di esseri umani semplici, montanari. Non puoi non pensare alla fatica, sono due ore che cammini, sei stanco, hai lo zaino leggero, come fai a non pensare alla fatica di questi malgari che salivano con le mucche al pascolo, le donne scendevano a valle con il fieno sulle spalle, tornavano su con  i viveri necessari, due, tre volte al giorno. E tu sei stanco, con lo zainetto leggero, i bastoncini da trekking e la sacca idrica, cazzo, sei stanco, ma loro? Loro come facevano a sopportare tutto questo? Mi pare di vederli, in piedi fuori dalla casera, rudi e fieri del loro lavoro, che controllano le bestie, fanno il formaggio, ascoltano il suono della natura. La natura non suona direte ma non è vero, la natura ha una melodia che solo pochi sanno ascoltare, oggi nessuno ne è più capace perché ci vuole  tempo per farlo, loro ascoltavano i suoni magici del bosco e li interpretavano, così era e così doveva essere, il tutto in un grande rapporto alla pari. Mestamente, tutti i giorni, diversi mesi all’ anno, tanti anni della loro vita erano dedicati a questo. Io salgo, passo a fianco a quelle poche rocce rimaste a testimonianza e penso a questo, a come doveva essere dura la vita di quella volta, così diversa dalla nostra, poi guardo in alto e vedo le montagne, le cime e le forcelle, allora mi dico di andare oltre e proseguo la marcia o come dire, il Trekking.

Però, sentendo la “Stradura” sotto i piedi,  non riesco a non pensare a quando ero bambino, con mia nonna Maria, andavo in Forgine a raccoglierla. Si partiva con i rastrelli e le lenzuola di “ruf”, c’ era un periodo per fare questo, l’ autunno, si ma quando è autunno? Boh… forse Settembre o Ottobre ma qualche volta anche fine Agosto o Novembre quando fa caldo, un casino. No quella volta Autunno era semplicemente Autunno, con un inizio ed una fine e quella volta si andava a raccogliere la “stradura in Forgine”. Per chi non lo sapesse, la “stradura” serviva per essere messa assieme al letame delle mucche , nella stalla, asciugava, e ne serviva parecchia, doveva durare fino all‘anno venturo. A casa c’ era un fienile particolare che la ospitava, diverso da quello per il fieno. Normalmente la raccolta era lavoro da donne, io sono sempre andato con mia nonna. Si risaliva il bosco e dall’ alto si rastrellava giù fino in fondo, si riempivano le lenzuola di “ruf” e si portava a casa, spesso con il carretto ma a volte anche sulla schiena. In effetti, una volta c’ era una stagione per fare tutto, mi sembra che non sia più così e c’era una cosa  che non si trova più facilmente: il tempo. Sono ritornato in “Forgine”, guardavo, osservavo e riconoscevo i luoghi della mia infanzia, a Forgine si raccoglieva la stradura, poco sotto segavamo i prati, a destra raccoglievo le “sciopete”, le genziane, quella volta non erano proibite, nessuno ti diceva niente se le portavi a casa e le mettevi nel piatto con l’ acqua ed un sasso in mezzo. Volgendo lo sguardo ancora  a destra c’ è il “Ciol del Preve”, lì c' era l’ acqua, le rane, le bacchette per fare le cerbottane e lì passavo le giornate, lì ho anche giocato alle case sugli alberi.

Mi sembra un altro mondo, forse è davvero un altro mondo, forse non ero io, era un altro, un bambino piccolo e timido, oggi si direbbe: gracile, con tutte le sue paure e le sue gioie, contento di quel mondo strano e semplice. Quel bambino veniva chiamato”Nicio”, andava dalla “Furmigia”, quasi tutti i giorni, si divertiva a stirare i fazzoletti con il ferro da stiro in ferro caldo, appoggiato sulla stufa a legna. “ Furmigia” in clautano significa formica, era uno dei tanti soprannomi degli abitanti di Claut, ma questa è un ‘ altra storia.

Anche oggi raggiungerò qualche cima, qualche forcella, mi mangerò un panino, quarderò il panorama ma  non smetterò di pensare alla fatica, alla fatica dei montanari di una volta e a quanto

siamo egoisti noi montanari di oggi.

RENZO GRAVA 



Tags: Montanari  la vita di una volta  il suono della natura