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Rifugio Pellarini dalla Val Saisera 04 Febbraio 2012

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Le previsioni davano brutto e il bolletino come al solito riportava che a est di neve non ce n'era. Che fare? Ho deciso che quest'anno a meno di lunghe migrazioni ancora da progettare approfitto per andare in uno dei luoghi che mi affascinano di più: la val Saisera.
Ho iniziato due settimane fà con lo Jof Miezegnot e considerato che è l'unica vallata in regione spolverata di bianco (perchè dire che c'è neve è un'eresia) ho deciso di proseguire.
La curiosità, che poi si tramuta in passione, di scoprire questi luoghi è dovuta a più fattori: il primo è senz'altro il sentiero ceria-merloni con cui mi sono avvicinato a queste montagne ma dal versante senza dubbio più ospitale (gli altopiani del montasio), il secondo la lettura del libro "Non si torna indietro" di L.Beltrame biografia e molto di più di Ernesto Lomasti, il terzo perchè credo che in questi luoghi nulla è facile e niente arriva senza fatica.
 Tornando a ieri ed avendo in mente solo la meta (Sella Nabois) ma non come arrivarci (splitboard o solo a piedi considerando lo scarso innevamento) ho caricato tutto in macchina: tavola, ciapse, scarponi da sno', scarponi da montagna, ramponi, etc). Parto da PN verso le 6.20 con l'idea che vado sù con la tavola e se trovo duro la metto sulla schiena e proseguo con i ramponi, entrato in autostrada a osoppo cambio idea e mi dico che considerato che non ci sono perturbazioni tanto vale fare un po' meno fatica ed andare solo a piedi, all'uscita delle gallerie dopo l'uscita per sella nevea sembra di arrivare in un altro mondo. Una bufera di neve con temperatura di -10 in valle e raffiche di vento da spostare la macchina, visibilità non proprio pessima ma quasi.
Vado avanti anche se ho pensato più volte: "chi me l'ha fatto fare di svegliarmi presto e venire qui". Per inerzia proseguo fino all'uscita della valbruna ed il tempo è sempre più brutto. Come due settimane fà mi fermo appena entrato in paese a far colazione in un piccolo market con bar gesito da un ragazzo gentilissimo. Si stà parlando del fatto che in tutta italia nevica (e non la vogliono) mentre qui non viene giù nulla. Guardiamo fuori ed i fiocchi sono minuscoli e non si appoggiano nemmeno al terreno per colpa del vento veramente forte. Finisco il caffè e dentro di me stò pensando di tornare indietro poi gliela butto là per vedere la reazione di un local: "eh oggi volevo fare la sella nabois...", lui mi guarda con la faccia tipo "ma cosa stai dicendo?" però è gentile e non aggiunge altro. Poi mi spiega che l'altro giorno era salito fino alla cima dei cacciatori ma non c'è neve per sciare, manca il fondo. Gli rispondo che per non buttare via la giornata potrei andare almeno fino al Pellarini, lui ci pensa un attimo e mi risponde con sicurezza: "sì sì bhè al Pellarini oggi può andare bene". Pago e lo ringrazio, ma dovrei farlo molto di più, ero da solo ed ogni tanto serve quella spintina in più per avere piena fiducia delle proprie sensazioni.
Parcheggio e parto ramponi ai piedi, ciaspe sullo zaino e stop, decido che la giornata sarà propedeutica per vedere l'itinerario. Seguo il sentiero 616 dal parcheggio fino al Rifugio, l'attenzione và riposta sopratutto nella prima parte dove ci sono vari bivi tra sentieri, pista da fondo e letto del saisera. Il mio consiglio, se non si conosce bene il posto, è di non tagliare perchè è facile finire da un altra parte e fare un sacco di strada per niente.
I primi 200mt sono nel bosco fitto, con uno sviluppo di tutto rispetto. Quando si arriva sotto le pareti del Piccolo Nabois si incomincia a tagliare verso sinistra (se si rimane nel sentiero è impossibile sbagliare). Dopo poco appare la parte nord del Grande Nabois veramente immensa ed imponente (e piena di cascate di ghiaccio). Nel frattempo la bufera non smette ma almeno nel bosco il vento non si sente, un po' di neve però incomincia ad accumularsi.
Terminata la parte larga del sentiero si arriva sotto al salto di rocce che separa la valle bassa da quella alta, si prosegue su traccia più stretta e pendente con un lungo traverso (non nel senso di lamina però) che con poca neve riserva più di qualche insidia per risalirlo sci ai piedi figuriamoci con la split (alti gradini, curve e controcurve strette), superato un piccolo parapetto di legno il sentiero diventa più comodo. Usciti dal bosco la vista dovrebbe essere grandiosa: il Grande Nabois a destra, a sinistra le Cime delle Rondini e poco più in là le Cime Vergini. Oggi si vede veramente poco ed una volta che gli alberi si diradano ancora meno. Comunque un po' di tracce mi aiutano ed inoltre il Pellarini finalmente si mostra quindi proseguo. Gli ultimi 100mt prima del rifugio sono un po' un calvario in quanto il vento ha creato zone di accumuli parecchio profonde, con solo i ramponi sprofondo a volte fino alla vita e anche di più, però manca poco. Attraversare questi pendii non mi fà proprio piacere, i pochi alberi sono tutti tirati giù, l'inclinazione sale, ci sono accumuli, siamo a -10, ora stà nevicando di brutto e fino a ieri c'era solo ghiaccio ... la ricetta è completa. Scelgo di salire tra pezzi un ò meno aperti e raggiungo il Rifugio, ci ho messo 2h e un quarto ma vacca boia se sono stanco, in più guardo la Sella Nabois nei pochi momenti in cui appare e vedo che da qui manca almeno un'ora e mezza come minimo. Anche ad esser qui con la splitboard questo è un gitone, come al solito nulla in questa valle è semplice. Entro nel ricovero invernale mangio un po', bevo il thè e firmo il libro.
Dopo 10 minuti mentro inzio la discesa però ci penso. In fondo è stanchezza mentale più che fisica, sono troppo abituato alla salita molto pendente che in poche ore sei arrivato. Questi itinerari e queste montagne necessitano di un approcio completamente diverso e forse è anche per quello che non proprio tutti ci vengono. E così passo dopo passo mi guardo le possibili varianti per la discesa e pian piano una parte più carina di boschetto si lascia intravedere e così inizio ad immaginare che forse non sarà una discesa proprio continua ma che ne varrà la pena. Insomma non sarà proprio una passeggiata ma questo è di sicuro un arrivederci a condizioni più ottimali, forse ad una più lunga giornata di sole primaverile (esattamente la stagione che "i vecchi" ritenevano giusta per inziare a fare scialpinismo).
Atro elemento oggi di forte impatto: sono partito da solo e sulla mia strada ho incontrato solo le orme di un camoscio. Non bisognerebbe mai andare in montagna da solo ma sarei ipocrita a nascondere che è forse il miglior modo per godersi i luoghi naturali. Sentirsi vulnerabili, piccolini, senza aiuto tende a farci rispettare maggiormente ciò che ci circonda. 
nicola

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